Cassette di Sicurezza della Banca


Sulla responsabilità (an debeatur). La materia è regolata dal contratto di locazione delle cassette di sicurezza (e dalla legislazione in materia), per il quale la Banca risponde verso l’utente per l’idoneità e la custodia dei locali e per l’integrità delle cassette, salvo fortuito.
Detto contratto, dunque, ha caratteristiche del contratto consensuale, simile alla locazione di cose ed alla locatio operis; infatti la Banca (verso il corrispettivo del canone) assume le obbligazioni tipiche di cedere in uso dei locali idonei all’espletamento del servizio, di provvedere alla custodia dei locali medesimi e di tutelare l’integrità delle cassette, con un’idoneità delle difese.
L’oggetto del contratto non va ravvisato nella custodia, né nella garanzia delle cose contenute nelle cassette (la cui presenza è meramente eventuale), bensì nella sicurezza degli stessi locali dell’azienda di credito in cui le cassette sono situate.
Le prestazioni della banca dedotte in contratto consistono essenzialmente in un facere avente come esclusivo termine di riferimento i locali in questione e che le modalità d’esecuzione del facere devono corrispondere alla professionalità del bonus argentarius, richiedente un massimo grado di diligenza nella predisposizione dei mezzi idonei rispetto agli eventi pregiudizievoli e comunque prevedibili.
L’articolo 3 delle norme bancarie uniformi (e la legislazione in materia) per il servizio delle cassette di sicurezza delineano una presunzione di responsabilità della Banca dalla quale essa può liberarsi solo dimostrando il fortuito, che in ogni modo non può individuarsi nella rapina in quanto tale, atteso che trattasi di situazione prevedibile.
Secondo un orientamento oramai consolidato della giurisprudenza la Banca per sollevarsi dalla responsabilità deve fornire prova positiva del fatto per il quale non è tenuta a rispondere, tale fatto, per essere esimente della responsabilità, deve essere imprevedibile o, se prevedibile, inevitabile (Cassazione 27/0/76 n° 2981 e 29/03/76 n° 1129).
Si delinea, per quanto sopra osservato, una presunzione di responsabilità bancaria del tipo oggettivo dalla quale l’istituto di credito può esimersi solo fornendo prova del caso fortuito. In tale situazione ne consegue che non grava sull’utente (Assicurato) l’onere di dimostrare l’inadeguatezza delle difese esistenti e disposte dalla banca, dovendo egli limitarsi alla dimostrazione del danno subito e della sua entità, gravando invece sulla Banca l’onere di provare il caso fortuito.
Sul danno (quantum debeatur).
La clausola negoziale che nei contratti di locazione delle cassette di sicurezza limita il risarcimento del danno da parte della Banca nell’ambito del valore massimo dei beni introdotti nella cassetta, ancorché tale valore sia ragguagliato a vari livelli di canone, integra un patto d’esonero di responsabilità, il quale è da considerarsi molto probabilmente “nullo”, ai sensi della legislazione vigente, trattandosi nella fattispecie di colpa grave della Banca, senza che tale clausola nulla possa influire sulla limitazione quantitativa del danno risarcibile.
Tale clausola contrasta con il dettato legislativo: [omissis] “…è nullo qualsiasi patto che esclude o limita preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o colpa grave [omissis]…”, ma è anche inconciliabile con la funzione che il legislatore ha inteso assegnare alle cassette di sicurezza, in virtù della professionalità bancaria, che deve essere caratterizzato dalla massima sicurezza contro eventi dannosi, umani, naturali prevedibili.
Per quanto concerne la prova del danno, la dottrina ammette la possibilità per il giudice di ricorrere alla prova presuntiva, per formarsi il proprio convincimento in ordine al contenuto delle cassette (cassazione 16/12/86 n° 7557, 17/02/87 n° 1700, 02/12/88 n° 6987 e 13/05/82 n° 3000). La Suprema Corte ha stabilito che il contenuto delle cassette di sicurezza può essere anche presunto come “fatto certo e specifico”, mentre il valore dello stesso “può essere stimato con valutazione equitativa, volta ad accertare la quantità da ritenersi più probabile in base alla comune esperienza.
In altre parole l’atteggiamento dell’Assicuratore, che spesse contesta la responsabilità e e sovente chiede la prova “diabolica” per la quantificazione degli beni trafugati, potrebbe risultare perdente sia sul fonte della responsabilità, che su quello dell’entità dei danni sofferti. Vedesi articoli: 1226,1229 I° comma, 1839, 2727 e 2729 del Codice Civile.



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